
L’Abbazia di Santa Trinita in Alpe è un luogo ricco di fascino che sorge alle pendici del Pratomagno. Situata in un luogo solitario, la sua storia millenaria racconta un passato di un territorio montano vivo e vissuto.
Oggi, nonostante lo stato di abbandono in cui versa, il luogo desta ancora oggi forti suggestioni, e un pò di nostalgia pensando a come non più di 50 anni fa apparisse l’Abbazia dopo l’ultimo restauro. Questo racconto-percorso invita a conoscere questo posto magico, e a custodirne la memoria… a piccoli passi!


Il percorso
Il punto di partenza della nostra camminata si prende dalla strada che dalla panoramica del Pratomagno si stacca per salire a Monte Lori, facilmente raggiungibile da Arezzo attraverso il Passo della Crocina, dal Valdarno sempre tramite lo stesso passo o utilizzando la strada che sale per Chiassaia e Anciolina, dal Casentino passando per Talla e Pontenano.
Si parcheggia in prossimità di un grande spiazzo, in prossimità del Campeggio di Fonte allo Squarto. Qui si parcheggia e, seguendo le indicazioni per Badia S. Trinita, si prende la strada forestale in discesa, che corrisponde al sentiero CAI 32.

Il sentiero CAI oltrepassa il Campeggio, e continua in discesa fin verso direttamente alla Badia di S. Trinita, ma per variare un pò, dopo meno di 1.5 km prendiamo una deviazione a destra, dove un piccolo cartello segnala una vecchia strada che scende al fosso della Specchiana.


Si percorre questa strada per un centinaio di metri fino a trovare un incrocio, che segnala una deviazione a dritto per visitare i ruderi della Badia vecchia. Continuiamo quindi per poche centinaia di metri in discesa fino ad arrivare effettivamente al rudere.

Il manoscritto che parla della fondazione di Santa Trinita narra che l’attuale sito non fu quello che vide l’origine dell’abbazia. È lecito supporre, quindi, che in questa zona sia sorto il primo insediamento monastico, come segnalato anche da un cartello.
Dopo questa pausa presso la Badiavecchia, ci merita salire e riprendere l’incrocio che scende al fosso della Specchiana. Si tratta di una vecchia pista forestale che scende ripida fino al fosso, che deve essere guadato, per poi ricongiungersi alla strada forestale - sentiero CAI 32 che porta a Badia S. Trinita.


Adesso la strada è tutta in discesa fino al ponte sul torrente Capraia, oltrepassato il quale ci aspetta un ultimo strappo fino all’Abbazia.

Adesso possiamo contemplare la bellezza dell’abbazia e riposarci nei tavolini lì vicini. Più avanti verso il fosso è segnalata una fonte.

Il ritorno è lungo la pista forestale - sentiero CAI 32 dell’andata, questa volta senza deviazioni. Il percorso completo è lungo 6.15 km, per un dislivello complessivo di 244 m in salita.
La storia dell’Abbazia1
La fondazione dell’Abbazia di S. Trinita in Alpe (o in Alpi) si fa risalire tra il 950 e il 970, quasi certamente il 960 quando Ottone I venne a Roma per essere incoronato Imperatore. Accompagnavano Ottone I due sacerdoti Pietro ed Eriprando i quali al termine del viaggio decisero di rimanere insieme ad altri compagni tedeschi e fondarono un oratorio e un ospizio in località Fonte Bona o Fonte Spina o Fonte della Valle.
Nonostante una serie di vicende travagliate costruirono una chiesa in onore della Santissima Trinità, di Santa Maria e San Benedetto e poi un monastero. Il luogo dove venne edificata era attraversato da un’antichissima strada: la Via Abversa. Tale direttrice collegava due luoghi i cui toponimi riconducono alla civiltà etrusca: Socana, in Casentino e Gropina, in Valdarno. In realtà, documenti dell’epoca segnalararono che il primo edificio religioso non venne costruito esattamente dove è oggi, il che ha dato via all’ipotesi che il primo insediamento sia stato il rudere visto nel percorso, suggerito anche dal nome del toponimo Badivecchia.
Nel 1200-1300 il monastero raggiunse il suo massimo splendore, ma cominciò anche il suo declino a seguito di cambiamenti nel sistema viario. Nel 1425 la comunità monastica fu soppressa da Papa Martino V e il monastero fu unito all’ordine vallombrosano. Nel 1570 la chiesa minacciava di crollare e le opere d’arte furono donate ad altre chiese. Nel 1708 a seguito di contrasti con le comunità locali di Pontenano e Capraia, per i pascoli del Pratomagno i monaci abbandonarono il monastero lasciando un solo religioso come custode.
A seguito della soppressione napoleonica nel 1810 i Francesi cedettero l’abbazia e i terreni ai Marchesi Corsi di Firenze, i quali nel 1811 li vendettero a Pietro Cassi di Capraia. L’ultima famiglia di contadini lasciò il podere prospicente la chiesa nel 1953. Alla fine degli anni ’50 l’area venne acquisita dall’ASFD, Ufficio di Arezzo, per costituire la foresta del Pratomagno. Alla fine degli anni ’70 il patrimonio passò alla Regione Toscana che lo dette in gestione alla Comunità Montana del Casentino. Nel 1969 iniziarono i lavori di restauro della chiesa che si conclusero nel 1974.
La selva dei monaci2
Il monastero raggiunse il massimo splendore tra XI e XII secolo, allargando i suoi possedimenti ad altri castelli, pievi e monasteri, oltre ad ospedali e terreni tra Pratomagno, Casentino e Valdambra.
Nel corso del Trecento iniziò una svendita di poderi, dovuto anche alla mancanza di braccianti per la Peste Nera, che ridusse l’abbazia in uno stato di crescente isolamento fino al XVI secolo, dovuto anche alla viabilità trasformata e alla carenza di vocazioni. Alla fine del XVII secolo gli ultimi monaci lasciano l’abbazia che nel frattempo viene denominata grancia, azienda agricola affidata all’abate di Soffena. Il rapido degrado culmina nell’esproprio napoleonico del 1810 con vendita ai marchesi Corsi di Firenze, cui subentrarono nel 1811 i Cassi di Capraia.
Questi costruirono allora, riutilizzando gli abbondanti materiali lapidei rovinati sul posto, una casa colonica, tuttora esistente anche se in precarie condizioni. L’ultima famiglia contadina abbandonò il luogo nel 1953.
Se si osserva la foto del 1974, sono evidenti le trasformazioni forestali operate nell’ultimo secolo: si vedono ancora castagneti da frutto, che negli anni precedenti la seconda guerra mondiale erano per metà di proprietà dei Cassi, destinati a non avere eredi, e a una famiglia di contadini di nome Tassini. Più sopra, pochi metri sotto al crinale, si trova ancora il piccolo rifugio “Casetta del Cassi” oggi adibito a bivacco.

Con il passaggio dell’area al Demanio, nell’area circorstante alla Badia sono stati effettuati rimboschimenti di conifere, principalmente Pini neri e Douglasia, che oggi si trovano quasi addossati all’abbazia, nei luoghi dove fino agli anni 50 c’erano selve di castagne e coltivazione di patate.
Informazioni utili
Mappe consigliata: Pratomagno (CAI o DREAM)
Presenza di fonti: si
Presenza di bracieri: no
Footnotes
Tratto da: https://caivaldarnosuperiore.it/badia-santa-trinita-in-alpe-il-patrimonio-fondiario-vita-quotidiana-nella-prima-meta-del-novecento/ e da https://robertomercurio.wordpress.com/2013/10/07/la-selva-dei-monaci-dellabbazia-di-s-trinita-in-alpe/↩︎
Tratto da: https://caivaldarnosuperiore.it/badia-santa-trinita-in-alpe-il-patrimonio-fondiario-vita-quotidiana-nella-prima-meta-del-novecento/ e da https://robertomercurio.wordpress.com/2013/10/07/la-selva-dei-monaci-dellabbazia-di-s-trinita-in-alpe/↩︎