Una antica leggenda racconta di Agnolaccio, un uomo che si aggirava intorno alle campagne di Monterchi per depredare greggi e pollai.
Nella tradizione aretina questo “Homo Salvatico”, alla veneranda età di mille anni, visse nel Settecento nei boschi della Murcia, nei dintorni di Monterchi. Una volta catturata la sua preda, la portava in una ‘tina’, una sorta di vasca scavata nella pietra, che veniva usata per uccidere le sue prede, mangiarle e bere del loro sangue.
Tra leggenda e realtà storica, ancora oggi è possibile osservare questa grossa vasca scavata nella pietra. Per visitare la tina e conoscere la leggenda dell’Omo Salvatico venite a scoprirla… a piccoli passi.
Il percorso
Il punto di partenza si trova nel Comune di Monterchi. Venendo da Arezzo, poco prima di giungere a Monterchi, si gira in direzione Padonchia, per poi tenere la destra verso Felcino Nero, e si continua fino a vedere il cartello che segnala a sinistra La Murcia (posizione qui), in una strada che diventa sterrata e in discreta salita, ma su un ottimo fondo.
Si lascia l’auto in prossimità dell’abitato, e si prende la strada bianca, a destra e in leggera salita, che attraversa le case della Murcia.
Superando le case alla nostra destra si trova un bel prato, e guardando con attenzione si può notare la torre dell’Elce, che visiteremo successivamente.
Poche centinaia di metri e ci troviamo a costeggiare un bellissimo castagneto da frutto, in un sentiero che per circa mezzo chilometro sale e poi fa una curva a destra. Subito dietro la curva troviamo gli affascinanti resti di una antica Chiesa, che negli elenchi delle decime del 1277 e del 1349, figura col titolo di “San Martino a Lugnano”1. Lì vicino c’è anche un capanno di legno dei cacciatori, e una specie di braciere ricavato con delle pietre.
Manca davvero poco, risaliamo la strada per superare una ‘tenuta’ e proprio sopra il poggio troviamo un castagneto da frutto in cima al quale troviamo finalmente la “tina”.
La tina è una vasca scavata in un masso di arenaria rettangolare di circa 5 m x 4. Sul lato nord rivolto a valle è ricavato un foro di deflusso, che collega il fondo della vasca con un incasso rettangolare situato sotto il foro, che appare essere stato restaurato di recente.
Terminata la visita alla vasca, ritorniamo sui nostri passi al punto di partenza, oltre l’abitato, e questa volta prendiamo in direzione del cartello che indica Ca’di Murcia. Sono poco più di mezzo chilometro, negli ultimi centinaia di metri da fare in salita, per ammirare la Torre dell’Elce. La torre medievale faceva parte del sistema difensivo del marchesato di Monte Santa Maria Tiberina (ne abbiamo visto un altro esemplare nel precedente racconto a Marzana). Purtroppo rispetto alla Torre di Marzana, questa torre versa in condizioni precarie e per più di metà è franata.
Terminata la visita, non ci resta che rientrare. Tutto il percorso è lungo 3.4 km, per un dislivello complessivo di 120 metri in salita.
La tina dell’Omo salvatico
(Estratto da la leggenda dell’Omo Salvatico di Giovanni Nocentini2)
Ai tempi del Granduca di Toscana, viveva un uomo straordinariamente peloso, ispido e selvaggio, di nome Agnolaccio. La sua pelle era incredibilmente dura, e la sua forza fuori dal comune. Si raccontava che ogni giorno si nutrisse di un animale intero, fosse esso un agnello, un capretto o un vitello, che veniva razziato dai contadini della popolazione circostante, che portava alla Tina – una vasca di pietra, con un foro per drenare il sangue – e lo macellava per nutrirsi.
Gli abitanti del luogo, vivevano costantemente minacciati da questa creatura, ma ogni tentativo di eliminarlo si rivelava inutile: il suo corpo sembrava invulnerabile. Lame, frecce e persino proiettili d’archibugio rimbalzavano sul suo petto coperto di pelo, mentre egli si prendeva gioco di loro con un riso beffardo.
Durante il periodo del Granduca, a Ca’ di Murcia viveva Marco Pancioni, un giovane forte e coraggioso che aveva tentato più volte, senza successo, di affrontare Agnolaccio. Un giorno, un frate mendicante si fermò a casa sua. Venuto a conoscenza della vicenda dell’Omo Salvatico, disse a Marco: «Questa creatura può essere uccisa solo con una pallottola benedetta». Prese quindi una moneta d’oro dalla sua tasca, la benedì con il segno della croce e la consegnò a Marco, aggiungendo: «Fondi questa moneta e usala per creare un proiettile per il tuo archibugio: con questa lo ucciderai di sicuro».
Marco seguì scrupolosamente le istruzioni del frate. Fuso l’oro, preparò la pallottola, caricò il fucile e si recò ad affrontare l’Omo Salvatico. Come al solito, Agnolaccio non mostrò alcun timore, ma questa volta il proiettile penetrò il suo petto e raggiunse il cuore, ponendo fine alla sua lunga esistenza.
Per questo gesto eroico, Marco ricevette una ricompensa dal Granduca e un privilegio straordinario: una licenza di caccia gratuita per sé e per la sua famiglia, valida per sette generazioni.
Tra realtà e leggenda
Per la vasca di Ca’ di Murcia sono state proposte due diverse interpretazioni funzionali, connesse la prima all’estrazione del tannino3, l’altra alla pigiatura del vino (palmento)4, ma il suo nome popolare “la Tina dell’Omo Salvatico”, è legata alla leggenda che si tramanda da secoli.
Secondo una interpretazione che va al di là della leggenda, Giovanni Nocentini ipotizza che la vasca sia stata oggetto, a partire dall’età del Bronzo Finale, di culti arcaici legati alla fertilità e alla “purificazione” del bestiame, nel contesto di una civiltà agro-pastorale perpetuatasi nei millenni nel territorio. L’Omo Salvatico di Monterchi potrebbe rappresentare quindi il ricordo di una antica divinità silvana, che alla fine dell’ “anno vecchio” e in prossimità del “nuovo”, veniva sacrificata per propiziare la crescita e il rinnovamento della vita, in quel passaggio stagionale che prelude all’equinozio e all’inizio della primavera. Secondo tale ipotesi con la cristianizzazione del territorio, i riti, in parte, sono caduti e in parte assorbiti dalla nuova sensibilità religiosa5.
Informazioni utili
- Mappa: Sentieri storici S. Maria Tiberina (scarica qui)
- Presenza di fonti: no
- Presenza di bracieri: si (si può sfruttare il braciere al capanno dei cacciatori)
Footnotes
E. Agnoletti 1979, Viaggi per le valli altotiberine toscane, Sansepolcro.↩︎
Giovanni Nocentini - La leggenda dell’Omo Salvatico. In: A. Moroni Lanfredini, G. P. Laurenzi (a cura di) 2011. Pietralba, Indagine multidisciplinare su alcuni manufatti rupestri dell’Alta Valtiberina. Aboca, 88 pp. https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/602030/18497/Pietralba.pdf↩︎
A. Cherici 1989. Una testimonianza dell’antica economia della montagna. La tina di Ca’ di Murcia, Archeologia Medievale, XVI, pp. 741-745.↩︎
A. Masi 2005, Un esempio di archeologia dell’agricoltura: i palmenti, in Ciacci A., Zifferero A. (a cura di), Vinum, Siena, pp. 85-95.↩︎
In questo senso il nome dell’Omo Salvatico, Agnolaccio, secondo Nocentini, potrebbe essere stato adattato da “angiolaccio”, in antitesi con San Michele, a cui peraltro è dedicata più di una chiesa nei dintorni.↩︎