Renicci: un campo di concentramento in Valtiberina

Monti Rognosi
Memoria
Author

Francesco

Published

February 20, 2024

Percorrendo la strada da Anghiari a Caprese Michelangelo, si arriva alla minuscola frazione di Mòtina. Qui, sulla destra della strada, era situato il Campo di Internamento1 di Renicci.

Inizialmente realizzato per ospitare prevalentemente prigionieri sloveni e croati, e che, dall’agosto del 1943, era stato ulteriormente destinato anche ai “peggiori” nemici del governo, fascista prima, badogliano poi, ovvero gli antifascisti e gli anarchici italiani.

Campo di Renicci

Malgrado si trattasse di una struttura tutt’altro che piccola, che ‘ospitò’ in un anno migliaia di prigionieri, ciò che resta oggi, alcune baracche, appare perfettamente mimetizzato. Per decenni, il luogo è caduto nell’oblio, fino a che, nel 2009, all’interno dell’area del campo di Renicci, è stato realizzato un giardino2, che ospita ogni anno le celebrazioni legate alla Giornata della Memoria3.

Il percorso

Il percorso proposto permette di visitare il Giardino della Memoria, in un piacevole anello che, dalla bella Pieve di S. Maria a Micciano, raggiunge Mòtina e il Campo di Internamento, e continua con una piacevole passeggiata sui Monti Rognosi e il bel santuario della Madonna del Carmine.

Il punto di partenza è la Pieve di Santa Maria a Micciano, dove si può parcheggiare l’auto e visitare la chiesa.

Pieve di Santa Maria a Micciano

Dalla Pieve di S. Maria a Micciano, si prende il sentiero a sinistra che scende verso la strada provinciale, passando dietro la ex scuola.

Scuola a Micciano

Si attraversa la strada provinciale, e dopo aver costeggiato una azienda, si gira a sinistra, e si percorre la strada vicinale in piano per circa 800 metri, fino a giungere al Giardino della Memoria.

Ingresso Giardino della Memoria

All’interno del giardino, sono riportati dei cartelloni che spiegano la storia del Campo di Concentramento, e un monumento realizzato dagli studenti dell’Istituto d’Arte di Anghiari.

Giardino della memoria, particolare

Una volta visitato il giardino, tenendo alle spalle l’ingresso, si prosegue a destra, costeggiando un’abitazione, e poi si gira a sinistra per tornare alla strada provinciale. Anche qui troveremo un altro pannello informativo, che racconta la storia del Campo di Internamento.

Nei pressi della strada provinciale

Cartello informativo

Si attraversa quindi la strada provinciale, e si segue il sentiero segnalato dal cartello blu con l’indicazione Cul di Paiolo, che sale, costeggiando prima un campo sulla destra, per poi immergersi in una pineta, continuando a salire fino ad arrivare all’area di Cul di Paiolo, a cui si arriva sempre tenendo il sentiero principale.

Sentiero con indicazioni per Cul di Paiolo

Superato un campo, il sentiero sale e diventa una pineta

Nell’area di sosta di Cul di Paiolo sono presenti dei tavolini, dei braceri, una fonte, e anche un punto per la riparazione delle biciclette.

Area attrezzata di Cul di Paiolo, nei M. Rognosi

Si prosegue, poco dopo l’area attrezzata, tenendo la destra per salire la collinetta che porta a visitare i ruderi di Fatalbecco.

Deviazione per il sito di Fatalbecco

Una volta scollinato, possiamo visitare il sito, dove anticamente sorgeva un castello, e sono presenti i resti del giacimento minerario.

Resti miniere a Fatalbecco

Si scende la collinetta, e ritornando sulla strada (sentiero CAI 104), troviamo un cartello che illustra la storia del Castello di Fatalbecco.

Pannello infomativo sul Castello di Fatalbecco

Proseguiamo quindi per la strada, potendo ammirare la diga di Montedoglio sulla sinistra. Superata una oliveta, si giunge a un bivio, con il CAI 104 che andrebbe a destra, verso la Madonna del Carmine.

Montedoglio

Deviazione a sinistra

Noi possiamo giriamo a sinistra, per un sentiero che scende, passa per una torretta di avvistamento, e dopo circa 800 metri incrocia il sentiero segnato a sinistra (il CAI 104 che abbiamo abbandonato poco prima), che seguiamo, fino a giungere alla Pieve di Micciano.

Torretta

Se vogliamo invece visitare la Madonna del Carmine, vale la pena non prendere la deviazione precedente, ma restare sempre sul sentiero CAI 104.

Madonna del Carmine

Tutto il percorso è lungo 7.23 km, per un dislivello complessivo di 200 metri.

Storia del campo di internamento

“Renicci è stata una vergogna tutta italiana […]. Una vicenda anomala, tenuta ai margini delle approssimative narrazione liturgiche istituzionali e destinata alla quasi irrilevanza storiografica.”4

Il campo di Renicci formalmente fu identificato come Campo di internamento fascista e badogliano n. 97. Le prime deportazioni a Renicci sono datate 10 ottobre 1942, quando vengono reclusi cittadini jugoslavi, per lo più rastrellati dalle truppe italiane in Slovenia. Non erano gente catturata con le armi in pugno (chi opponeva resistenza veniva fucilato sul posto) ma “normali famiglie, con anziani e bambini, donne e uomini di ogni età strappati alla loro terra occupata dalle truppe italiane dopo l’aprile del 19415.

Campo di Renicci, estate 1943. Fonte: Kardos 2009

Campo di Renicci, planimetria. Fonte: Kardos 2009

A metà dicembre i prigionieri erano già 3.884, sorvegliati da 450 uomini fra militari e carabinieri. Una stima attendibile parla di circa 10.000 internati, in 11 mesi di vita del campo6.

Le condizioni di vita sono proibitive: circa 160 persone muoiono nell’ arco di soli 12 mesi, uccisi dalla fame, dalla dissenteria, e dal freddo7.

Tra il luglio e l’agosto 1943, con la caduta del fascismo e l’avvicinarsi delle truppe alleate, vennero trasferiti a Renicci anche 234 confinati politici, provenienti dalla colonia di Ustica, ed altre centinaia di confinati ed anarchici dalle colonie di Ventotene e Ponza. Anarchici che il governo Badoglio non ritenne di dover liberare, come aveva già fatto con tutti gli altri antifascisti8.

Con l’arrivo dei prigionieri politici, cambiò l’atmosfera nel campo, ed iniziarono proteste, scioperi della fame e dimostrazioni. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la situazione si fece sempre più tesa: per la paura dell’arrivo dei tedeschi, molti militari di guardia fuggirono, e Il 14 settembre 1943, poco dopo l’arrivo, forse casuale, di tre autoblindate tedesche, i militari rimasti si diedero alla fuga. Quando gli internati si resero conto che non erano più controllati, abbatterono il cancello e fuggirono verso i monti. Numerosi fuggitivi costituirono o entrarono a far parte di formazioni partigiane.

Con la fine della guerra, il ricordo delle migliaia di deportati venne sepolta nella memoria storica, come è avvenuto per tutti gli altri campi di internamento, in provincia di Arezzo e nel resto del paese. Il lungo silenzio, interrotto dalla pubblicazione di poche testimonianze, si interruppe solo a metà anni Ottanta del secolo scorso, favorito da un contesto culturale avviato ad una fase di cambiamento, e al reperimento di nuove fonti d’archivio. 

Informazioni utili

Footnotes

  1. Per capire il significato dei campi di internamento, si può dire sinteticamente che l’allontanamento fisico dalla società degli avversari politici era, con il confino, una prassi consolidata per il regime, ma con lo scoppio della guerra esso venne riformulato attraverso la disposizione dell’internamento civile, concepito come un vero e proprio strumento amministrativo di prevenzione. La pratica venne regolamentata da una legislazione che intendeva l’internamento come una misura volta a contenere e isolare i civili italiani e stranieri ritenuti «pericolosi soprattutto nelle contingenze belliche». Fonte: I. Bolzon - I campi di concentramento fascisti.La memoria italiana tra miti, silenzi e public history. https://doi.org/10.4000/diacronie.9463.↩︎

  2. Il Giardino fu istituito su iniziativa promossa dal Comune, in collaborazione col Teatro di Anghiari, Compagnia dei Ricomposti, Mea Revolutionae, ANPI, Istituto d’Arte, Associazione Cultura della Pace, e con la messa in opera delle sculture di Gianfranco Giorni.↩︎

  3. La data ricorre il 27 Gennaio↩︎

  4. G. Sacchetti - Renicci 1943. Internati anarchici: storie di vita dal campo 97. Aracne, 236pp.↩︎

  5. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/01/27/un-lager-chilometri-da-anghiari.fi_011un.html↩︎

  6. Per approfondimenti, si consiglia il blog di R. Monticini: https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0207.htm↩︎

  7. Le persone sono stipate in 15 per ogni tenda e 250 per ogni baracca, ristrette in pagliericci infestati dai pidocchi. Le latrine sono all’aperto. Mancano vestiti e coperte. La razione di cibo corrisponde a circa 20 grammi di riso a testa, che galleggia in un brodo scuro con qualche pezzo di pasta.↩︎

  8. Per capire bene la situazione degli anarchici italiani, si consiglia la lettura di Giorgio Sacchetti, sugli anarchici tra fascismo e resistenza, contenuta nel libro di I. Tognarini - Guerra di Sterminio e resistenza. La provincia di Arezzo (1943-1944). Edizioni Scientifiche Italiane, 424 pp.↩︎

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