Stragi aretine, San Polo

Poti
Memoria
Arezzo
Stragi
Author

Francesco

Published

March 17, 2024

Con questo terzo racconto-percorso si chiude la narrazione delle stragi terribili che colpirono Arezzo il 14 luglio 1944.

Mentre le truppe alleate, che avrebbero dovuto ricongiungersi ai partigiani, tardavano ad arrivare, i tedeschi, pianificata una rappresaglia, condussero all’alba un attacco tra Molin del Falchi e Pietramala. Qui, dopo aver liberato alcuni prigionieri, dettero fuoco alle abitazioni e rastrellarono decine di prigionieri.

Nell’assalto e nel trasferimento verso San Polo i tedeschi uccisero 17 persone, soprattutto tra coloro che avevano problemi a marciare (comprese donne, anziani e bambini1). Altri 48 prigionieri furono portati a Villa Mancini, a San Polo, dove furono prima interrogati e torturati, per poi essere tutti finiti brutalmente a Villa Gigliosi.

Oggi, San Polo è una collina silenziosa a due passi dalla città. In questo luogo, tra gli olivi e la bella Pieve di San Polo e il santuario della Madonna del Giuncheto, sopravvivono ancora i segni di quello che è stato, che questo racconto vi invita a vedere e toccare con mano in una piccola passeggiata della memoria.

Il percorso

L’itinerario inizia con una visita al Santuario della Madonna del Giuncheto; lì vicino al santuario, in prossimità del cimitero, c’è spazio per parcheggiare l’auto.

Santuario della Madonna del Giuncheto

ll santuario sorge sul luogo dove nel 1513 ci fu un’apparizione della Madonna ad una giovane fanciulla di nome Camilla. Qui venne costruita una cappella, che poi ha avuto vari ampiamenti nei secoli successivi. Continuando la strada si arriva dopo poche centinaia di metri all’altrettanto bella Pieve romanica di San Polo.

Di fronte alla Pieve, possiamo osservare il monumento dedicato alla strage di San Polo, realizzato nel 2006 grazie a un progetto che a partire dal 2006 coinvolse il Comune di Arezzo, la Circoscrizione 1 Giovi e il Liceo Artistico “Piero della Francesca” di Arezzo. La statua in bronzo è opera dell’artista Sandro Ricci, su bozzetto della studentessa Elisabetta Festa dal titolo “La disperazione e la memoria”.

Particolare Monumento di San Polo

Elenco vittime della strage

Ci dirigiamo quindi per la strada in salita, che costeggia l’antica pieve, che corrisponde al sentiero CAI 102 e il percorso dell’Ardita (la salita è dedicata a Marco Pantani).

Pieve di San Polo. Si sale da qui seguendo il CAI 102

Si segue la strada in salita per circa 2.2 km, per poi abbandonarla a poche centinaia di metri prima del punto dove troveremmo l’incrocio verso Monte Castellaccio (da dove discero i prigionieri catturati tra Pietramala e Vezzano). Noi invece abbandoniamo la strada principale girando a destra per il sentiero, in direzione Castellana (da dove passarono i prigioneri tradotti verso Villa Mancini).

Dopo 2 km si abbandona il CAI 102 per questa deviazione a destra

All’imbocco della deviazione è visibile una pietra con la scritta Bruno e una madonna

Il sentiero non è segnato ma è ben evidente (c’è un solo bivio da prendere a destra), e dopo circa 1.5 km incrocia il CAI 531 (sentiero Matteagi), che prendiamo a destra.

Al primo incrocio, si prende la destra

Altro incrocio a destra, corrispondente al CAI 531

Seguiamo il sentiero CAI solo per mezzo chilometro circa, per poi prendere una strada sulla destra, che dopo circa 700 metri scende all’altezza di Villa Gigliosi.

Si abbandona il CAI 531 prendendo a destra

Costeggiando la villa sul lato destro, troviamo la lapide che ricorda il luogo della strage dei 48 che qui vennero finiti.

Villa Gigliosi, luogo della strage. Il monumento si trova costeggiando la villa sulla destra.

Monumento della strage a Villa Gigliosi

Si torna infine alla strada, e si prende a destra, per la strada in salita che costeggia le abitazioni, tra cui si trova Villa Mancini, e percorrendo la Via Sacra, si arriva verso la Madonna del Giuncheto, dove termina l’anello.

Villa Mancini

Via Sacra verso la Madonna del Giuncheto

Tutto il percorso è lungo 7.5 km, per un dislivello complessivo di 270 m in salita.

Una strage efferata e impunita

Sulla strage di San Polo ci sono numerosi fonti disponibili. La ragione è che si trattò di una operazione di estrema ferocia ed efferatezza, che molto scosse il mondo anglofono.

All’arrivo a Villa Mancini, i prigionieri non furono uccisi immediatamente: rinchiusi in una cantina, furono sottoposti per diverse ore a un violento interrogatorio, in cui vennero percossi con dei tubi di gomma fino a far perdere loro i sensi. Nel pomeriggio, i prigionieri furono trasferiti nel giardino della vicina Villa Gigliosi, dove alcuni di loro erano stati costretti a scavare delle fosse. Vennero fatti allineare a scaglioni all’orlo delle fosse e colpiti con un colpo di fucile alla nuca.

La crudeltà della strage non finì purtroppo qui: le vittime, deposte ancora vive nelle fosse, vennero ricoperte di terra e fatte esplodere con un esplosivo. Forse si trattò anche di un tentativo di nascondere le tracce delle torture.

I primi reparti inglesi arrivarono la sera del 16 luglio 1944. Iniziarono subito le esumazioni, che proseguirono anche il giorno successivo. Era la prima volta che gli alleati si trovavano davanti un caso di barbarie tanto raffinata, con 65 vittime. Nei primi mesi dalla strage la divisione investigativa inglese raccolse molte prove delle violenze commesse, ma non ci fu alcun seguito verso gli autori delle stragi.

Non fu un caso che la documentazione più scarna disponibile sulla strage sia stata quella tedesca, e anzi nessun documento coevo parlò direttamente dell’operazione, a motivo della sua efferatezza. A partire dagli anni sessanta, ci furono inoltre alcuni processi in Germania, eseguiti in maniera superficiale, per scagionare gli autori dei crimini perpetrati in Italia, uniti ad alcuni casi di inquinamento della memoria2.

Il fascicolo sulla strage di San Polo riemerse una seconda volta a metà degli anni Novanta dal cosiddetto “armadio della vergogna”: un armadio, con le ante rivolte verso il muro, ritrovato nel 1994 presso la sede della Procura Militare della Repubblica a Roma, contenenti 695 dossier relativi ai crimini di guerra perpetrati dai tedeschi in Italia, tenuto nascosto per cinquantanni. Nuove indagini, iniziate nel 1996, si conclusero nel gennaio del 2005 con l’archiviazione definitiva del procedimento da parte del tribunale militare di La Spezia.

A scuotere l’opinione pubblica fu però una serie di inchieste del giornalista tedesco Udo Gümpel3, grazie al quale sono stati riportati alla luce i casi dei responsabili delle stragi di Marzabotto, San Polo e quello di Sant’Anna di Stazzema. Il 28 ottobre 2004 la trasmissione “Kontraste” mandò in onda in Germania un’intervista di Gümpel con Klaus Konrad, responsabile della strage di San Polo, che ammetteva di aver assistito alle torture e di non provare rammarico per quei fatti, se non da quando sapeva che la giustizia italiana aveva aperto un procedimento nei suoi confronti.

All’intervistatore, Konrad disse: “Vi aspettavo, sapevo che prima o poi mi avreste trovato ma speravo di morire prima”. Konrad morirà ad agosto del 2006, pochi mesi dopo la riapertura del processo. Ancora una volta, la strage rimase impunita.

Informazioni utili

  • Mappe consigliata: Sentiero 50 (CAI) o Valtiberina Toscana (DREAM)
  • Presenza di fonti: si
  • Presenza di bracieri: no

Footnotes

  1. Nelle stragi vennero sterminate tre generazioni della famiglia Buzzini: nonno, genitori, cinque fratelli (di cui uno di due anni, e uno di soli 20 giorni). Sopravvisse un sesto fratello, Lorenzo Buzzini, di 7 anni.↩︎

  2. Per la storia delle indagini, si veda in dettaglio: https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/san-polo↩︎

  3. Il giornalista Udo Gumpel ha curato, insieme a Carlo Gentile, professore all’Università di Köln, il progetto 1943-1945. NS-Täter in Italien. Le stragi nell’Italia occupata nella memoria dei loro autori. http://www.ns-taeter-italien.org/. Il progetto, finanziato dal Ministero degli Esteri della Repubblica Federale di Germania nell’ambito del Fondo per il futuro italo-tedesco, vuole contribuire allo sviluppo di una nuova cultura della memoria.↩︎

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