Se la primavera nel 1944 iniziò il 25 maggio (vedi post precedente), come disse E. Droandi, fu subito “una estate di fuoco1”.
Episodi di estrema e ingiustificata violenza c’erano già stati ad Aprile, soprattutto in Casentino (a Vallucciole, Banzena, Moscaio e Partina, per citarne alcuni tra i più cruenti), ma fra la fine di giugno e la prima metà di luglio, con l’avvicinarsi degli Alleati per liberare Arezzo, si intensificarono anche le operazioni e i movimenti dei partigiani, che ebbero tragiche conseguenze per gli abitanti dei tre villaggi di Pietramala, Molin dei Falchi e San Severo. L’inizio di quel ‘filo di sangue’ ad Arezzo si ebbe il 24 giugno del 1944, quando vennero uccise 10 persone in località l’Intoppo, al Palazzo del Pero, e successivamente a Badicroce, dove tra il 3 e 4 luglio vennero uccise 13 persone.
La strage di Molin del Falchi, Pietramala e San Polo avvennero il 14 luglio del 1944. Lo stesso giorno, nelle vicinanze, venne compiuta anche la strage di San Severo. Anche se episodi distinti, gli eventi del 14 luglio fecero parte di una unica, sanguinosa operazione repressiva, contro il popolo italiano.
Oramai sconfitti, esasperati dalle attività dei partigiani, per odio verso gli italiani, considerati traditori della Germania nazista e ‘protettori’ dei partigiani, per avere le spalle libere durante la battaglia finale per Arezzo2, ma anche - probabilmente - per una lucida consapevolezza che le stragi avrebbero fatto perdere tempo al nemico: queste le ‘motivazioni’ della violenza inaudita di questi episodi, che - bisogna ricordare - colpirono principalmente civili, compresi anziani, donne e bambini, persone totalmente indifese.
E’ difficile raccontare in poche parole, e con un linguaggio adatto ai bambini, le stragi naziste, ancora più difficile provare a trovare un significato a tutto quello che è successo. All’assurdità delle stragi, fecero seguito i tentativi di cancellarne la memoria, fino ad arrivare alle false testimonianze, per salvare i responsabili delle stragi. Dal danno alla beffa: i processi avvenuti più di mezzo secolo dopo assolsero gli autori delle stragi3. Anche da questa ingiustizia, nacque la ‘memoria divisa’ che caratterizzò l’Italia nel dopoguerra. Consiglio la lettura di questo blog: https://www.ns-taeter-italien.org che parla in dettaglio di “ciò che è stato”.
Ho deciso di dividere la storia di quello che accadde il 14 luglio del 1944 in più racconti-percorsi, per trovare innanzitutto il giusto tempo per poter visitare distintamente ciascuno di questi luoghi della memoria, e cercare di dare maggior spazio narrativo a ciascuna vicenda. Il primo racconto riguarda la strage di Molin del Falchi e Pietramala, il primo di quegli eventi avvenuti all’alba del 14 luglio. Fu l’inizio di una escalation che culminò con la strage di S. Polo, di cui parlerò in un prossimo racconto.
Il percorso
Per visitare Pietramala ci sono più vie da poter scegliere. Per il percorso più breve, decidiamo con l’auto di raggiungere il paese di Antria, e, superata la piazza con la Chiesa, si continua a salire per la strada, in direzione Gello. Si continua, tenendo sempre la strada asfaltata principale, che sale, aprendo degli scorci panoramici molto belli su Arezzo. Dopo circa 3.7 km, con l’ultimo tratto sterrato, si arriva fino al Podere Pietramala (nelle carte viene riportato anche come podere il Castello). C’è lo spazio per parcheggiare giusto un paio d’auto, per iniziare il percorso a piedi.
(Nota bene: il percorso proposto non è su sentieri CAI, quindi si consiglia di munirsi di mappa e/o applicazione smartphone)
Si prende il sentiero a sinistra, che sale brevemente per aggirare il Podere. Il sentiero comincia quindi a scendere in maniera costante, e bisogna ricordare di tenere sempre la destra fino ad incontrare il sentiero CAI 102: troviamo infatti poco dopo un bivio, poi un successivo trivio, e i ruderi della Capannuccia (civico 24 di Gello).
Continuando a scendere, sempre tenendo la destra, si prende un sentiero che attraversa due volte il fosso. Si giunge così, dopo 1.3 km all’incrocio col sentiero CAI 102, che prendiamo a sinistra, e dopo circa 300 metri arriviamo al Cippo che ricorda la strage di Pietramala.
Il cippo ricorda la morte di Pia Mazzi e Conforta Chiodini, che vennero uccise lungo il tragitto tra Pietramala e Vezzano (che visiteremo successivamente). Poco dopo il monumento c’è un trivio, dove il sentiero CAI 102 prenderebbe la destra.
Se continuassimo il sentiero centrale, non segnato, arriveremmo ai piedi di una collina, sormontata da cipressi, dove sorgeva il Castello di Pietramala. Nei dintorni della collina, si possono trovare tracce dei resti del castello, comprese due cisterne, e scendendo a sinistra si ritrova una vecchia via dove c’è un altro cippo che ricorda la strage delle altre tre persone (Marianna Barbagli in Testi e i figli Giuseppe e Angiola) uccise dai tedeschi. Non essendo un percorso segnato, e reso pericoloso anche dalla presenza di punti franati sopra le cisterne, non viene resa la traccia di questo tratto, e se ne raccomanda la prudenza a chi volesse provare ad esplorare.
Dal primo cippo di Pietramala, abbiamo due opzioni:
- Se si volesse continuare per visitare il Molin del Falchi, si può continuare a seguire il sentiero CAI, che scende passando prima i ruderi della Villa Chiaromanni (indicata Pietramala in qualche mappa), e, tenendo la sinistra, incrociando un altro sentiero che arriva al fiume (noto come sentiero dei Guadi). Per vedere i ruderi del Molino, si devono superare i primi due guadi, e lo troviamo oramai inghiottito dalla vegetazione. Terminata la visita, torniamo indietro sui nostri passi fino al cippo di Pietramala.
- In alternativa, essendo un tratto con discreto dislivello, da dover fare poi in salita al ritorno, possiamo saltare questa parte, e dal cippo di Pietramala, si ripercorre il sentiero 102 in salita, fino ai ruderi di Vezzano.
Proprio all’altezza del rudere, poco visibile sulla destra, c’è un sentiero che sale, fino ad incrociare un sentiero più evidente, che passa sul confine di un campo circondato dal filo spinato. Fate attenzione: non dobbiamo prendere il sentiero, nè a destra, nè a sinistra, ma invece continuare a dritto, passando oltre il filo spinato (c’è degli ‘omini di pietra’ che lo segnalano). Prendendo dal campo, poche decine di metri si riesce ad intercettare un più evidente sentiero, che girando a sinistra arriva a un quadrivio, dove teniamo la destra per strada poderale, fino tornare alle auto.
Tutto il percorso è lungo 5.2 km, per un dislivello di 240 metri. Evitando dal cippo di Pietramala di scendere e risalire per visitare il Molin del Falchi, il percorso si riduce a circa 4 km con un dislivello di 170 metri.
La strage di Pietramala
Alla fine di giugno, con l’avvicinarsi degli Alleati alla città di Arezzo, si intensificarono le attività dei partigiani. Nell’Alpe di Catenaia era rimasto un reparto della brigata Pio Borri, con dei prigionieri, privo di viveri, e pensando all’arrivo imminente degli alleati, furono spostati il 3 luglio al Molin dei Falchi, mentre un altro reparto era posto nei pressi dei ruderi del Castello di Pietramala.
Attorno al 10 luglio, si seppe che gli Alleati sarebbero arrivati il 14 ad Arezzo, motivo per il quale consigliavano di ‘sciogliere le formazioni’; di conseguenza, i partigiani avevano nascosto le armi e si erano mescolati tra le persone di Pietramala, dove “la gente è poverissima e l’alimento principale è il latte di qualche mucca e qualche capra, mentre la poca uva produce mezzo vino4 .
Si arriva al 14 e gli Alleati non arrivano. Purtroppo, ‘Lignano aveva messo il cappello’ (ne ho parlato in un precedente post), mentre nel frattempo gli Inglesi avevano problemi a giungere da Poti a Palazzo del Pero. Questo ritardò di due giorni l’arrivo degli alleati, e dette ai tedeschi il tempo di perpetrare le stragi.
Il 13 luglio 1944 i tedeschi catturarono un disertore, Heinrich Krüger, che sotto tortura rivelò che i partigiani si erano rifugiati al Molin del Falchi, dove si trovavano sfollate tantissime famiglie, con anziani, donne e bambini5. Alle prime luci dell’alba lo Jagdkommando6 fece irruzione nella frazione, cogliendo nel sonno i partigiani e i civili. Il combattimento fu brevissimo e molto violento7. Furono liberati dodici prigionieri8.
I soldati appiccarono fuoco alle abitazioni e condussero con sé i prigionieri, anche i civili, che usarono come scudi umani durante il tragitto di ritorno a San Polo, temendo attacchi da parte dei partigiani9. Nel tragitto da Pietramala e Vezzano uccisero numerose persone, (diciassette, anche se il numero diverge tra le varie fonti), compreso un neonato. Lasciatisi alle spalle la zona montuosa e giunti a Vezzano, i soldati separarono gli uomini abili alle armi da anziani, donne e bambini, i quali furono rilasciati. Sembra che il sottufficiale che guidava il gruppo avesse espresso l’intenzione di fucilarli sul posto, ma i suoi uomini riuscirono a dissuaderlo. Da qui iniziò la terribile processione che portò alla strage di San Polo.
Informazioni Utili
- Mappe consigliata: Sentiero 50 (CAI) o Valtiberina Toscana (DREAM)
- Presenza di fonti: no
- Presenza di bracieri: no
Footnotes
E. Droandi. Arezzo distrutta 1943-1944. Calosci Editore, 354 pp.↩︎
Ne parleremo in dettaglio in merito alla strage di S. Severo. In queste località, dove i tedeschi sapevano essersi nascosti i partigiani, lo scopo militare del comando tedesco non fu nè liberare prigionieri, nè punire i partigiani, ma piuttosto far terra bruciata alle spalle dei reparti combattenti, in vista della fase finale della “Battaglia per Arezzo”. E. Droandi. Arezzo distrutta 1943-1944, Ed. Calosci, 354 pp.↩︎
Nel 1972 il caso fu riaperto in Germania ma archiviato l’anno seguente. In Italia il fascicolo sulla strage era invece già stato “insabbiato” nel 1960 e lì rimase a lungo nascosto nel famigerato “Armadio della Vergogna”, all’interno della Consiglio della Magistratura Militare presso la Corte Suprema di Cassazione di Roma. Nel 1995 il Tribunale Militare di La Spezia riaprì la pratica, finché nel 2007 arrivò la sentenza che assolse Herbert Hantschk, l’unico soldato tedesco imputato ancora in vita.↩︎
F. Righi - Libertà: Gioia, una storia di vita partigiana. Ed. Calosci, 214 pp.↩︎
I dettagli di quelle fasi sono ben descritti in questo blog: https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/san-polo↩︎
I responsabili della strage furono il Grenadier-Regiment 274, assegnate di rinforzo alla 305 Infanterie-Division. Furono i responsabili confermati della strage di San Polo, di San Severo, di Badicroce. Si trovano notizie accurate sul sito: https://www.ns-taeter-italien.org/it/perpetratore/grenadier-regiment-274↩︎
Come risulta anche dall’inquirente britannico, va sottolineato che quando si verificò l’assalto tedesco, i pochi partigiani presenti, disarmati, non reagirono, ma i tedeschi continuarono il fuoco. P.R.O. - W.O. - 204/11482 - 13532. In E. Droandi, citato in precedenza.↩︎
Anche qui va rilevato che l’azione tedesca non fu per liberare prigionieri, e che anzi la scoperta di prigionieri fu evento casuale, che incattivì ulteriormente i soldati tedeschi.↩︎
Si riprende una testimonianza, tratta dal blog: https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/san-polo
“La mattina del 14 luglio quando arrivarono i tedeschi io mi trovavo a Pietramala [...]. Fummo tutti allineati contro un muro, eravamo circa 25. Una mitragliatrice fu puntata contro di noi. Noi cominciammo a gridare che eravamo degli sfollati, che non avevano nulla a che fare con i partigiani. Fu a questo punto che il maresciallo Hans Plumer [sic] intervenne dicendo invece che eravamo tutti partigiani e che dovevamo essere tutti uccisi. Egli ripetè più volte ”Raus caput[sic] tutti partigiani””.
Miranda Baratti, sfollata a Pietramala, 1945↩︎